Franco Costabile, considerato dalla critica il più grande poeta calabrese del ‘900, paragonabile solo al coevo Lorenzo Calogero, nasce a Sambiase, nell’attuale Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, il 27 agosto 1924. Ancora prima di venire alla luce, viene abbandonato dal padre, che si trasferisce in Nord Africa – precisamente a Sfax, in Tunisia – per coltivare i propri studi, e che non farà ritorno a casa mai più. Costabile, fin da giovanissimo, sublima in poesia la ferita di quell’abbandono. Dopo la Maturità Classica a Nicastro e una Laurea in Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma, pubblica le raccolte “Via degli Ulivi” (Quaderni di Ausonia, 1950) e “La rosa nel bicchiere” (Canesi,1961) considerata il suo capolavoro assoluto. Avvia inoltre una serie di collaborazioni con importanti riviste letterarie nazionali, come “Botteghe Oscure” e “Nuovi Argomenti”, e partecipa nel 1964 alla redazione del volume collettaneo “Le sette piaghe d’Italia”, una raccolta di opere di autori illustri sui problemi sociali del paese, nel quale compare per la prima volta il suo “Canto dei nuovi migranti”, una splendida lirica sul tema dell’emigrazione dal sud Italia verso le Americhe, l’Australia, il nord Europa. Costabile entra nel frattempo a pieno titolo nei circoli letterari della Capitale, dove stringe rapporti intensi con intellettuali del calibro di Caproni, Brignetti, Sereni, ma soprattutto rimane strettamente legato a Giuseppe Ungaretti, suo docente, eletto nel tempo a padre spirituale. Sarà lui a scriverne l’epitaffio, quando il 14 aprile 1965 il poeta Costabile decide di togliersi la vita col gas, a soli 40 anni, nel suo appartamento romano, in seguito alla morte dell’amatissima madre, contemporanea all’allontanamento improvviso della moglie per motivi di lavoro, e alla rottura definitiva dei rapporti con il padre. La sua produzione, oggetto di studi in Calabria e oltre, a cento anni dalla nascita, rappresenta ancora una finestra aperta sui problemi, sulla bellezza, sulla cultura ricchissima della sua terra d’origine, che nessuno come lui ha saputo eternare.