Il canto delle cicale ci cullava negli afosi pomeriggi di luglio. Tra i nostri primi passi lo sciabordio delle onde era un din don di campane che disfaceva i castelli di sabbia tirati su da noi con tanta operosità poco prima. Non temevamo però la sfida con gli dèi del mare in una guerra di logoramento, né il leggendario Kraken che abitava il centro della nostra piccola piscinetta nei giorni in cui era proibito correre su e giù tra ombrellone e battigia. Dopo il tramonto, rasentando il bordo di un fiumiciattolo, inseguivamo le traiettorie delle lucciole che ci avrebbero portato all’ingresso di regni fatati mai scovati. Lo stagno della pineta brulicava di girini e, mentre tutto intorno esplodeva di vita, i racconti degli adulti sapevano di cocomeri succosi e ghiaccioli al limone.
– Verrà un altro temporale, sarà di nuovo estate –.
Poi gli dèi del mare si fecero indietro davanti ad un paio di ciabatte conficcate nella sabbia rovente, a pochi passi l’una dall’altra, e i tentacoli del Kraken avvolsero degli ingranaggi di metallo trasformandosi in catene della bici.
Arrivarono, nei primi anni Duemila, due fratelli da un’altra provincia, quasi nostri coetanei, con gli stessi sogni e la stessa voglia di indagare i misteri della vita. A suon di tuffi e rovesciate diventammo un quartetto affiatato e imbattibile: sono certo che il mondiale del 2006 lo vincemmo anche grazie alla riproduzione su spiaggia delle partite viste in Tv. Si aggiunsero nelle estati successive altri bambini al nucleo originario e non di rado si arrivava a 10-12 mini-calciatori appresso ad un pallone. Passammo così insieme una decina di estati (le più belle della nostra vita) senza mai incontrarci o sentirci negli inverni che vi si inframezzavano, salvo qualche lettera sporadica in occasioni di compleanni e ricorrenze.
– La voglia di viaggiare ed incontrare nuovi amori –.
Soffiavano tiepidi venti estivi quando ci incontrammo per la prima volta; un evento assai peculiare chiacchierare di libri, teatro, arte e cinema sull’uscio di una biblioteca mentre il resto della città sprigionava gli entusiasmi estivi nei lidi di provincia. Per la prima volta parlai al prossimo come se fosse un’estensione di me: nei dialoghi apparivano De Chirico, Kerouac, Inio Asano, Murakami, ma anche il quartiere Bella e i personaggi buffi dei nostri posti senza che dovessi spiegare contesti o aggiungere cappelletti di introduzione. Sparirono le ombre fuggiasche che abitavano agli angoli delle strade e le viuzze che attraversavamo si colorarono dello stesso arancio che sottende il sole calante di giugno quando il cielo strizza l’occhio a ponente. Una porta scorrevole aveva appena attraversato la mia vita lasciando dall’altra parte brutture e insicurezze adolescenziali.
– Prendi ciò che vuoi dai tuoi giardini sospesi nell’anima –.
Cantavamo col gruppo in una località balneare, una di quelle tanto citate d’estate quanto dimenticate d’inverno. Avevo da poco ripreso la musica con molte aspettative e in quel periodo gli astri di allinearono affinché andasse tutto a gonfie vele. Dopo il concerto prendemmo una pizza nell’ultimo locale rimasto aperto e la mangiammo nel giardino di Non-so-chi con una manciata di amici di vecchia data venuti ad ascoltarci. Da vecchie sedie di plastica raccattate qua e là indicavamo le stelle dell’Orsa Maggiore, andando a tentoni ma fingendoci esperti di astronomia davanti alle nostre ragazze. Non me ne resi conto al momento, ma quella notte in me fu sorgente di fiumi di versi che conservai nel cuore per anni fino a quando la penna non decise di dare un letto a questi corsi d’acqua.
– Verrà un nuovo temporale e finirà l’estate –.
Il centro storico era un’isola abbandonata in mezzo al mare e io ero un naufrago in attesa della propria dipartita. Fuori pioveva a dirotto nonostante fosse fine agosto e dentro di me altrettanto, era alle porte l’ultima sessione universitaria della vita e da lì a poco mi sarei dovuto laureare. L’Italia usciva malamente dagli europei in quella che avrebbe dovuto essere l’unica consolazione di quella bella stagione, il mio gruppo musicale perdeva pezzi per non ritrovarli mai più e la mia fidanzata si trasferiva a Roma per studiare arte. In sottofondo passava Morricone ricordandomi quel «Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del Paradiso quando eri picciriddu» e mi consolai col pensiero che quella cosa da amare infine era l’insieme di tutti gli avvenimenti incidenti al trascorrere naturale del tempo; che forse c’era un grande “Unisci i Puntini” da completare e che una volta terminato avrebbe dato vita a un disegno pazzesco solo apparentemente composto da scarabocchi sparsi.
– Come il dolce malessere dopo un addio –.
La bozza del disegno oggi è forse a buon punto. Di certo quale scarabocchio si è trasformato in uno splendido dipinto ma qualche altro sta ancora lottando per assumere una forma ben riconoscibile. Ho i granelli di sabbia ancora tra le suole delle scarpe e devo fare attenzione a non grattare il parquet che ha montato mio padre, con tanta cura, nella nuova casa. Ho comprato un giradischi coi primi soldi dopo la laurea, ci passo su ogni tanto qualche vinile quando cerco di catturare un ricordo per le mie poesie o per ammazzare il tempo mentre lei dipinge. Tra le cianfrusaglie di un vecchio magazzino ho ritrovato “Ferro Battuto” di Franco Battiato; ora che ci penso “La quiete dopo un addio”, contenuta in quell’album, era una delle canzoni che ascoltavamo più spesso con la mia famiglia in camper durante le vacanze estive.
– Poche le cose che restano alla fine di un’estate –.
Le ultime note della strumentale sfumano lasciando un sapore agrodolce. Ho messo via le ciabatte malconce, l’ombrellone rattoppato e i teli da mare scoloriti mentre la città si ripopola del colore dei melograni e del profumo delle arance. Non vedo l’ora di abbandonarmi alla routine tanto disprezzata quanto necessaria di un ottobre ombroso e pungente, che sa insegnarmi come la stabilità sia essenziale affinché si possa apprezzare al meglio il cambiamento. E mentre aspetto un nuovo temporale, lascio nelle tasche della mia giacca a vento i granelli di sabbia che custodiscono i ricordi migliori.